Informativa Cookie

STORIE DAL TMS – Stefano Pierdomenico: “una mente dinamica…”

Gran Trail dei monti Simbruini 84 km in 6000 m di dislivello: si possono spendere fiumi di parole su gare, mezze maratone, maratone ed ultra maratone, ma le parole per descrivere un viaggio del genere presuppongono tanta memoria. Molti si chiederanno perché affrontare una competizione così ardua ed impegnativa, ma la risposta è da cercare nei pensieri più intimi, in quella parte del cervello che spegne ogni forma di buon senso e ragionevolezza. Per sfida? Per mettere alla prova se stessi? Per sfidare le leggi della natura? Oppure per dimostrare qualcosa a qualcuno?
Il discorso è proprio complicato, a titolo psicologico scattano dei meccanismi di pura follia che partendo dall’obiettivo ambizioso tramite allenamenti, preparazione anche mentale ci conducono sul nastro di partenza di una ultra maratona di 84 km con 6000 metri di dislivello in salita.
In un momento particolare, ho scelto di dedicarmi a questa esperienza, quasi per scherzo e per distrarmi dalla routine quotidiana.
È stato altamente producente e significativo spendere del tempo per questo evento, tre mesi di fatica, sacrificio, prova attrezzatura e soprattutto concentrazione! Il viaggio quindi è cominciato tre mesi fa ed io scrivo che non si è concluso al traguardo, ma sul nastro di partenza. Gli 84 km sulle montagne mi hanno convinto che non siamo fatti di soli muscoli e non solo di testa, ma soprattutto di un’anima.
Ebbene si condividendo i primi istanti dallo start fino a Monte Livata verso il primo monte con lampada frontale e tutto il fardello del materiale obbligatorio ecc. il paesaggio di Subiaco in basso, la luna che sorgeva in uno scorcio di un prato aperto di un bosco, davano subito un’immagine surreale e inconsueta di un panorama mistico.

Primo ristoro dopo 12 km a Campo dell’osso insieme a Stefano e Simone i miei prodi amici tra cui mi sentivo protetto e supportato, pronti a dare consigli utilissimi anche su tecniche di corsa e fasi della gara. Piu avanti Simone era costretto ad abbandonare e sono certo che se non ci fossero stati problemi avrebbe finito con un buon tempo, cosi continuavo la competizione e proseguivo con Stefano la discesa fino a Vallepietra. Dopo esserci ristorati ad un piccolo ruscello attaccavamo la salita verso la Santissima Trinità ma io rimanevo parecchio indietro, cosi per non lasciare nulla al caso decidevo di effettuare il percorso fino al santuario pregando, e già questo messaggio mentale di fede mi dava forza ed energia per superare la fatica e lo sconforto… e pensare che era appena il 30° km! Arrivati sul piazzale del parcheggio della SS Trinità c’era il secondo ristoro con ogni alimento utile per integrare le energie perse, qualche minuto e venivo raggiunto dalla terza concorrente in gara che in uno slancio atletico iniziava la salita verso il monte Tarino. Accidenti in salita un vero fenomeno cercavo di raggiungerla perché in certi casi scattano meccanismi di orgoglio maschilisti, un po’ per cercare la compagnia durante la gara per qualche km, visto anche il percorso particolarmente impegnativo.
Anche qui le scene erano quelle dei catadiottri lungo il sentiero che illuminati con la lampada indicavano la giusta direzione in una visione davvero particolare, un alternarsi di boschi, prati e luna che in parte faceva compagnia con la sua luce in quel ritaglio di colori in cui venivano delimitate solo le ombre e le forme. Ma il fascino era proprio questo: il modo migliore per rigenerare l’anima, impegnarsi distraendo la mente nella ricerca delle lampade dei concorrenti che precedevano e soprattutto la ricerca del sentiero tramite i catarifrangenti che confermavano la giusta via. Sembrava davvero una autostrada e bisognava impegnarsi per sbagliare strada. Paradossalmente per mancanza di lucidità e concentrazione ho sbagliato di giorno e non di notte! Raggiungo Tatiana e condividiamo il percorso fino a Filettino cioè la metà della dell’impresa. Anche qui ristoro impeccabile e tenda militare che teoricamente serviva come spogliatoio, trasformata in un piccolo rifugio per chi era già in grossa difficoltà. Tatiana velocemente riparte, mi cambio completamente e mi prepararo per la seconda parte di questo viaggio e vengo rincuorato dall’amico Roberto di Subiaco, il quale mi convince che questa gara andava portata a termine e mi diceva: ” Stefano hai mai corso una maratona? Bene da qui in poi dobbiamo solo finire una maratona ed io voglio finire con le mie gambe!“.

Partiamo da Filettino ma subito sulla salita per il Viglio perdo le sue tracce nel bosco, in fondo lui e un uomo di montagna e dopo essersi riposato era fresco per continuare. Salendo sul Viglio inizia una forte crisi di debolezza fisica e pensare che era appena sorto il sole e mi ero appena riposato e rifocillato al ristoro, ma i conti si fanno soprattutto con le energie perse e purtroppo il corpo umano non funziona come un’auto che quando gli finisce la benzina basta rimetterla e questa subito riparte. C’è bisogno di un tempo metabolico per avere energia e mentale per capire e convincersi che non manca nulla. C’era luce ed arrivato sulla cima del monte ero in preda ad una demoralizzazione che mi faceva pensare di abbandonare.
Poi decido di scherzare un po’ sul mio stato con quelli del soccorso alpino e avvicinatosi un signore vestito di bianco con una tuta da imbianchino gli dicevo: “… La mia ora non è arrivata, stammi lontano!” Mostrandogli il rosario, e lui rispondeva: “…Aho dev’ solo da ‘na verniciat’ a la croce.” scoppiavano tutti in una fragorosa risata, mangiavo un po di frutta secca, prendevo un gel miracoloso imbottito di caffeina e subito mi riprendevo. Arrivato alla fonte Moscosa, riempivo tutti i miei recipienti d’acqua ed immergevo testa e braccia nella fontana: un’improvvisa botta di energia mi faceva esplodere in una corsa fino alla salita per il monte Viperella dove incontravo Stefano con una caviglia fuori uso. Era provato dell’infortunio e se non fosse stato per questo di sicuro avrebbe concluso con un ottimo tempo.
Cosi arrivato a Campo Staffi di nuovo la scena di una tenda con diversi ritirati, un po’ di brodo un po’ di parmigiamo ed un ricco caffe. Riparto in direzione monte Cotento sotto i piloni degli impianti di risalita. Ora tutta discesa da Campo Staffi 20 lunghissimi km passando per il rifugio Ceraso, una corsetta blanda con le gambe molto rigide dove la solitudine per oltre due ore mi generava pensieri negativi, i miei amici, la visione delle crisi prima a Filettino e poi a Campo Staffi mi portavano in una condizione di tristezza e voglia di ritirarmi.

Decido di mettere le cuffiette 10 minuti di progressive ma nulla di fatto, situazione tragica, le gambe correvano semplicemente per inerzia ma sicuramente fuori da ogni tipo di governo, cambio genere musicale con i Chumba Wamba poi i Black Keys ma presto tolgo le cuffiette arrivando in alcune radure dove la gente faceva pic nic cercando refrigerio in quota. Erano le ore più calde, mi spalmo la crema solare e metto gli occhiali e tra i profumi delle salsicce e di carne arrostita arrivo all’ultimo ristoro del 72°, con persone allegre e dinamiche. Da qui i percorsi della gara media di 50 km e della corta di 28 si univano e decido di condividere l’ultima salita con due ragazzi della 50.
A 6 km dalla fine incontro anche la mia compagna di squadra Daniela che mi chiede se sapevo tramite il garmin quanti km mancavano alla fine. Purtroppo al 70° km si scaricava la batteria e quindi continuavo sempre per inerzia sperando finisse presto quell’avventura e arrivato all’ultimo km una discesa come ultima prova per le mie stanchissime gambe, anche se non troppo doloranti alla fine. Gli unici dolori persistenti alla schiena, alle braccia ed alle spalle ed il motivo credo sia nell’uso dei bastoncini con braccia poco allenate.

All’arrivo trovo un accoglienza da stadio con i miei compagni di squadra pronti a darmi il meritato abbraccio e conforto. Spesso non è importante il tempo di come si termina una gara, anzi, questa esperienza oltre ad avermi rigenerato mentalmente e spiritualmente mi ha insegnato che bisogna essere in grado di cambiare obiettivi, strategie e soprattutto darsi una ridimensionata se le cose non vanno secondo i piani. Una mente dinamica è reattiva alle varie situazioni che mutando intorno a noi e dentro di noi diventa un imperativo per migliorare se stessi senza cercare negli altri quello che manca in noi. Bisogna accettare i momenti tristi come spunto per farci apprezzare momenti migliori, apprezzare la solitudine per stare bene in compagnia, valutando che se esiste la notte ci sarà pure il giorno! Da questa esperienza traggo molte conclusioni ed una tra tante è anche il significato del RISPETTO, quello di prendere un impegno per portarlo a termine, il rispetto verso le leggi della natura, verso se stessi, il rispetto delle regole naturali e morali.

Stefano Pierdomenico – partecipante GTMS 2015

Comments are closed.